Quando i picchetti sono fioriti

Aysar al Saifi

(2024)

Prospero Editore

Ci sono autori che, più di altri, hanno la capacità di descrivere il presente, anche quando del tempo presente sembra non essere rimasto più niente. Aysar al Saifi è un poeta del frammento, uno scrittore che raccoglie le macerie e le mette assieme per costruire una storia. L’autore, originario del campo profughi di Dheisheh, è plurilaureato presso le università di Betlemme e di Gerusalemme e vive in Italia. Scrivendo raccoglie pezzi di vita, brandelli di ricordi, per cucirli assieme in un racconto dove la narrazione autobiografica sfuma in quella delle vite altrui senza bisogno di giustificare l’attraversamento del confine. 

La Striscia di Gaza è stata molto raccontata nell’ultimo anno e mezzo. Forse mai come lo era stata prima, almeno nel mondo occidentale. Saifi ci parla dell’“altra Palestina”, quella che è colpevolmente rimasta fuori dalle cronache degli ultimi diciassette mesi, ma che è stata ed è bersaglio colpito altrettanto duramente dal terrore sionista. 

Prima di essere uno scrittore, Saifi è il testimone dell’orrore indicibile delle carceri israeliane, di cui già aveva descritto le tremende torture ai danni dei prigionieri palestinesi nel magnifico Foglie di gelso edito per la prima volta nel 2020. In questa sua nuova opera, dal più ampio respiro narrativo, il racconto dell’esperienza del carcere, pur non costituendo il leitmotiv della narrazione, resta molto presente. 

I tre protagonisti tentano faticosamente di ricomporre le macerie in cui la loro vita si è frantumata. 

Rawi è un giornalista che ha fatto della scrittura la sua arma per salvarsi dall’occupazione. Ha raccolto le memorie del nonno, profugo sopravvissuto alla prima Nakba, quella del 1948, che, nel campo dove fu sfollato con l’intera famiglia trovò un modo ingegnoso per tenere diritta la tenda che era diventata la loro nuova casa: fare del ramo di un albero un picchetto. 

Mina è una studentessa italiana, figlia di emigranti dal sud della penisola, che ha vissuto da piccola il trauma della perdita della madre. Lei, a differenza di Rawi, non sa che cosa scrivere. Ma deve farlo, se vuole laurearsi. Una serie di intermediari provenienti dall’ambiente accademico la portano ad avvicinarsi alla storia del popolo palestinese. Il viaggio in Palestina diventa l’occasione per scoprire una terra di cui sembra aver sentito il richiamo da lontano: un appello che da parte sua non può più restare inascoltato.

Mu’taz è un autista di taxi che per difendersi dall’occupazione da anni si è barricato dietro a un muro di silenzio. Ma quando il fratello Ghassan viene messo in una cella di isolamento e torturato durante uno sciopero della fame, il grido della sua rabbia esplode così forte da causare un effetto boomerang.

Da un certo punto in avanti della narrazione, le storie dei tre personaggi si fondono in una sola. Tutti e tre, con il peso delle rispettive macerie sulle spalle, portano avanti la loro rivoluzione, contribuendo ad arricchire una storia di lotte per la collettività che è l’unica chiave di lettura possibile del – non certo – tempo futuro. 

Non è sempre vero che i traumi insegnano; non ogni cicatrice è una medaglia. Ci sono sofferenze troppo profonde, come quella di assistere impotenti alla morte o all’incarcerazione di un proprio familiare, veder schiacciare la propria casa da un bulldozer, vedere la morte in faccia dopo ottanta giorni di sciopero della fame intrapreso per non darla vinta a chi vuole comprare con la tortura il tuo silenzio. Queste esperienze accompagnano per sempre chi le ha vissute, diventano parte della persona stessa forgiandone i comportamenti attraverso il basso continuo del ricordo. “I ricordi spesso arrivano all’improvviso facendoci trovare impreparati ad accoglierli. Ci attraversano lentamente per lasciarci soli e sparpagliati in questo mondo, esattamente come le foglie degli alberi”. Grazie Aysar al Saifi per aiutarci a raccogliere le foglie; per aver stretto l’inquadratura su un dettaglio minore: che anche i picchetti delle tende-prigioni possono fiorire. 

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