L’appartamento in Rue de Passy

Raji Bathish

(2024)

Pagine Esteri Edizioni

L’amicizia può non essere bella. Per alcuni è un rapporto sociale che origina nell’infanzia da un ricatto morale che, col passare del tempo, si trasforma in un legame che tanto più stringe il nodo quanto più lo rende difficile da sciogliere.

L’ultimo romanzo di Raji Bathish, scrittore, attivista queer e studioso di cinema e scienze sociali nato a Nazareth nel 1970, ha per protagonisti Amir e Jamil, la cui amicizia si trasforma nel corso delle vicende che li vedono coinvolti in un inganno.

Sono entrambi palestinesi emigrati a Parigi durante la Seconda Intifada, nel 2000. La città europea famosa per riuscire a rendere belle anche le cose più sgradevoli, li cattura in un perverso vortice di lavori precari, relazioni fugaci, permanenze temporanee, rischi per la salute. Eppure entrambi loro, in un primo momento, restano sadicamente attratti dalle luci che la grande capitale sembra proiettare sulle loro vite in ombra. L’epicentro del loro orbitare nella elegante Parigi delle “belle arti culinarie” è l’appartamento in Rue de Passy, efficacemente scelto da Bathish come titolo del romanzo. Si tratta di un appartamento di proprietà di Vincent, un ricco borghese gallerista e collezionista di opere d’arte. A conoscerlo per primo è Amir, invitato da una comune conoscente nell’appartamento ad una festa dove, come spesso gli capita, deve recitare la parte del giovane “amico palestinese”. Essere giovani ed essere palestinesi costituisce un ottimo biglietto da visita presso la società borghese parigina, annoiata e attratta da tutto quanto ciò ai suoi occhi appaia “esotico” e, possibilmente, inerme (prontamente disponibile ad essere esposto nella sua vetrina). Sennonché, per una serie di kafkiane coincidenze, la incipiente relazione sentimentale tra Amir e Vincent viene involontariamente passata in testimone dallo stesso Amir all’amico Jamil. L’amicizia tra Amir e Jamil finisce quando Amir si rende conto che Jamil è diventato l’amante di Vincent ed ha preso alloggio in casa sua senza dirgli niente. Come aveva fatto con lui molti anni prima, Jamil dimostra per la seconda volta la sua straordinaria abilità nel giocare con i sentimenti, la sua ineguagliabile capacità di piegare l’altro al proprio subdolo volere. Amir sa bene che Jamil, più che amare Vincent, ama l’idea di aver trovato un luogo dove restare, circondato dal lusso e da tutte le vanità che nella Palestina storica poteva solo sognare. 

Amir, solo e malato in una Parigi che gli è diventata più estranea di quanto lui lo sia per lei, decide di tornare a Nazareth dalla madre. Qui riesce inspiegabilmente a trovare un buon lavoro e, con gli anni, a costruirsi addirittura una carriera in una importante associazione culturale di Haifa. Torna a Parigi dieci anni dopo e rivede per caso Jamil. È lui adesso ad essere in difficoltà, solo e sfiancato dalla routine di addetto alle pulizie in una sauna di periferia. Non ricorda più niente: nemmeno che Amir non era a conoscenza della sua relazione con Vincent. Sembra un uomo finito, ormai, e, nella sua debolezza, Amir lo perdona. Sennonché… Sarà Jamil a prendersi, ancora una volta, la rivincita su di lui. E lo farà nel peggiore dei modi: da dietro alle sue spalle.  

L’autore ha l’enorme pregio di non giudicare i personaggi per ciò che fanno, per le esperienze in cui si trovano coinvolti. Racconta, semplicemente le loro storie, mettendo sapientemente in luce l’inestricabile vincolo della vita umana alle condizioni sociali del luogo in cui si trova, spesso senza ragione, catapultata. 

La traduzione di Davide Knecht e Patrizia Zanelli – che ha anche curato l’edizione italiana, arricchendola di note esplicative sui riferimenti al cinema e alla poesia arabi, egiziani in particolare – restituisce la poeticità e la visionarietà del linguaggio di Bathish. È una lingua schietta, senza autocensure, e, al tempo stesso dolce, sensuale. Spesso e volentieri la prosa si lascia andare senza soluzione di continuità alla poesia. Il che rende la scrittura di Bathish un flusso di parole che non hanno bisogno di giustificare la loro presenza sulla pagina, tanto è evidente la loro urgenza di comunicare la complessità dell’animo umano.

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