La donna abitata

Gioconda Belli

(1988)

Edizioni e/o

È raro che l’autore di un’opera letteraria riesca a condensare nel titolo la stratificazione dei messaggi cui ha dato forma attraverso il racconto di una storia. Gioconda Belli, scrittrice e attivista nicaraguense nata nel 1948, in questo romanzo, ambientato nel Nicaragua tra il 1972 e il 1973 durante la rivoluzione sandinista, ci è riuscita alla perfezione.

Quella di “essere abitati” è una metafora complessa, tanto più potente quanto più contraddittoria.

Lavinia, la giovane protagonista del romanzo – alter ego dell’autrice – è da poco uscita dalle aule universitarie quando trova impiego come architetta in un importante studio di Faguas, immaginaria città del fuoco e dell’acqua creata dall’autrice per rappresentare l’intera America Latina.

Viene da una famiglia borghese, da cui volontariamente ha preso le distanze. È compiaciuta della sua scelta di allontanarsi dalla casa dei genitori per trovare la propria strada. Si è trasferita nella casa della zia Ines, una ribelle anticonformista che le ha fatto da madre. Morta da poco, Lavinia aspira a prendere il suo posto: nella sua abitazione e nella società. Se il primo compito le riesce abbastanza facile, è il secondo quello di cui crede di non essere all’altezza. Saranno gli eventi a far sì che lei realizzi anche la sua seconda aspirazione.

Lavinia, in realtà, fin da quando varca la soglia della nuova casa, non è sola. A vegliare su di lei c’è l’albero di arance, una vecchia pianta che, all’arrivo della nuova inquilina, inizia a rifiorire e, successivamente, a dare frutti. Nell’albero vive lo spirito di Itzá, una guerrigliera indigena che combatté contro i primi coloni spagnoli assieme al suo innamorato Yarince. Non è mai morta per davvero, si è solo trasformata: è diventata terra, poi seme, fiore, frutto. Aiuterà Lavinia a capire che cosa davvero vuole. Agirà dall’interno del suo corpo per darle l’identità che lei da sola non è in grado di trovare. 

Il romanzo si svolge in un dialogo silenzioso tra le due donne, la donna albero e la donna umana, che comunicano attraverso canali diversi da quello verbale. Quello tra loro è uno scambio sia sensitivo che emotivo. Attraverso i frutti che Lavinia spreme e beve con tanto gusto, Itzá trasmette dei messaggi che sa che solo lei potrà comprendere.  

L’ingresso di Lavinia nel Movimento di Liberazione Nazionale, che pianifica azioni di sabotaggio del governo dei Grandi Generali, sancisce il suo ingresso in una nuova vita. Un ingresso che non avviene, in realtà, per una sua scelta totalmente autonoma, ma che è sospinto dalla circostanza di un amore, quello per Felipe, il quale, seppur involontariamente, la coinvolge. 

Nel corso della narrazione, noi lettori assistiamo alla completa metamorfosi del personaggio di Lavinia. Da schiava del proprio destino, complice inconsapevole della spoliazione di un popolo, a poco a poco diventa parte della rivoluzione. Per portare a termine la sua trasformazione, sarà costretta a pagare un prezzo altissimo. Un prezzo che, comunque, – e questa è la sua definitiva rivincita sulla versione di sé che lei stessa è arrivata a disprezzare: privilegiata, individualista, indifferente al mondo di violenza e di sopraffazioni che la circonda – si dimostra in grado di pagare da sola. 

Lavinia, per lavoro, disegna case. È all’interno della prima abitazione da lei interamente progettata che la vicenda che la vede protagonista giunge a conclusione. La soluzione sta nella stanza segreta, una stanza di cui, inventandola, non aveva parlato con nessuno. Dentro la stanza, nel momento più tragico, all’apice della tensione, Lavinia sceglie, forse per la prima volta, liberamente: da abitata che era diventa, finalmente, un’abitante della terra. Compagna dell’albero che, silenziosamente, le aveva insegnato a riconoscere la verità. 

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