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Fiorirà l’aspidistra

Fare guerra al denaro: è questo ciò che Gordon Comstock, protagonista del romanzo di Orwell pubblicato nove anni prima de La fattoria degli animali, si propone di fare sin dalle prime pagine. È la sua battaglia personale, che inizialmente mantiene segreta. Comstock fa il commesso in una libreria e vive in una pensione per uomini soli a Londra. Nonostante il suo dichiarato odio per il denaro e per la morale che esso sottende, è ossessionato dai cinque pence e mezzo penny che gli restano in tasca perché, ammette, “tutto è denaro. Tutti i rapporti umani devono essere acquisiti coi quattrini” e “senza soldi, non sei da amare”.

Il suo disprezzo per la ricchezza va di pari passo con quello per il lavoro, cui continua a fatica a restare aggrappato, unicamente per disperazione, non certo per ambizione. Comstock toglie la maschera al lavoro: esso non è altro che sfruttamento. Tutto ciò che di bello, in qualsiasi impiego si possa trovare, non è che un velo, che, una volta strappato, mostra la brutalità dei rapporti umani basati sullo scambio diseguale. In ciò che il protagonista svela nelle sue sprezzanti riflessioni, trovo un’affinità con quanto del lavoro sta venendo in luce ai nostri tempi, quasi un secolo dopo Orwell. I rapporti di lavoro, in tutti gli ambiti, si stanno sempre più mercificando. Questo processo potrebbe avere un risvolto positivo, se servisse a farci prendere coscienza di un fatto: che il lavoro, qualsiasi esso sia, è un sistema di sfruttamento dell’essere umano, e non una necessità. La mia generazione ha oggi la grande occasione di vedere il lavoro nella sua versione peggiore, sì, spogliato di ormai quasi tutte le maschere di cui i sistemi politici democratici occidentali dal secondo dopoguerra lo avevano a poco a poco ammantato, facendo in modo che nessuno potesse più troppo lamentarsene; ma nella sua più pura, cruda essenza di sistema di oppressione. 

L’aspirazione di Comstock non è quella di ottenere più diritti per i lavoratori, ma quella di poter vivere senza dover essere sottomesso al lavoro e al denaro. La sua è una visione delle cose inscrivibile in parte nel socialismo utopistico (armonia sociale, uguaglianza, assenza di sfruttamento), in parte nel comunismo anarchico (libertà individuale, abolizione dello stato e della proprietà privata, abolizione del lavoro). 

Orwell – delle cui potenti invettive il protagonista si fa portavoce – afferma che il culto del denaro sia l’unica vera religione. “Bene o male non hanno più significato se non nel senso di successo o fallimento”. Al posto dei dieci comandamenti, il decalogo è stato ridotto a due “Uno per gli imprenditori – gli eletti, il clero monetario, per così dire – ‘Guadagna quattrini’; l’altro per i salariati – gli schiavi e subordinati – ‘Non perdere il posto’”. Gordon tenta in tutti i modi di sottrarsi a questa regola. Nella seconda parte del romanzo, dopo aver perso il lavoro, si lascia volutamente andare alla deriva. Afferma di voler abbandonare il mondo del denaro per il mondo sotterraneo, dove vive la gente perduta, “un mondo buono […] dove sconfitta o conquista non hanno più alcun significato; una specie di regno di spettri dove tutti sono uguali”. È come se nella massima degradazione si potesse realizzare l’uguaglianza. Ma è il fatto di non riuscire più, in questa miseria, a scrivere poesie e a trascorrere del tempo con la sua innamorata Rosemary a farlo dubitare della sua scelta. 

L’aspidistra cui Orwell allude nel titolo è una pianta d’appartamento, di moda in età vittoriana e divenuta simbolo della classe sociale borghese britannica. Per cui, augurarsi che queste piante continuino a vivere e prosperare significa auspicare un nuovo trionfo della borghesia e del capitale. Sarcasmo, ovviamente, essendo il personaggio di Gordon Comstock tutt’altro che affezionato al vegetale che, nel corso del romanzo, tenta più volte di far morire spegnendovi le sigarette contro il fusto, mettendo del sale nella terra, lasciandolo morire di sete. Nonostante gli sforzi, le aspidistre non muoiono mai, vivendo a stendo, malaticce, ma continuando a sopravvivere. George Orwell, in questo senso, è un maestro della satira: si serve dei simboli e dell’estetica borghesi per deridere, smontandola dal di dentro, la loro morale. 

In un certo senso, il consiglio che l’amico Ravelston, direttore della rivista Anticristo, dà a Gordon racchiude la morale dell’intera storia: “Tu stai cercando di comportarti come se si potesse rimanere fuori dal nostro sistema economico. Ma non si può. Bisogna cambiare il sistema, o non si cambierà nulla”. Come a dire che arrendersi alla vita mortifera plasmata per noi dal capitale equivale a riconoscerne la vittoria. Bisogna invece lavorare di fino, accettare il compromesso minimo della sopravvivenza all’interno di esso per iniziare a distruggerlo. Trovare una via di fuga quando si è dentro la pancia del mostro è difficile, ma è anche la prima mossa necessaria alla sua eliminazione, alla nostra liberazione.

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