Cerimonia

Si può fare resistenza restando passivi? Spesso mi capita di chiedermelo, in questi tempi bui, di individualismo esasperato, dove anche la parola “attivismo” è stata tradita, contaminata dal mito dell’esibizionismo individuale. 

Di sicuro un periodo storico oscuro come quello che stiamo vivendo favorisce – ma ne vedremo i risultati quando tornerà la luce – l’introspezione. In questo senso il ripiegamento dell’individuo su sé stesso potrebbe essere fertile per l’epoca futura. In un giorno che speriamo non sia troppo lontano.

Questo è la cerimonia: un cerchio che si chiude. Leslie Marmon Silko, meravigliosa scrittrice nativa americana classe 1948, descrive nel suo capolavoro, pubblicato per la prima volta nel ’77, lo svolgersi di un atto di rigenerazione che è sia individuale che collettivo. Il protagonista Tayo è un giovane mezzosangue, di madre Pueblo Laguna e padre bianco. La contraddizione più complessa di cui deve venire a capo, però, non è quella relativa al suo sangue ibrido, ma quella di come sopravvivere alla distruzione totale. La seconda guerra mondiale è da poco finita, e lui torna a casa nel New Mexico dopo un lungo periodo di degenza in un ospedale per reduci. Nelle Filippine ha perso il cugino Rocky, che per lui era come un fratello. Mentre combattevano entrambi nell’esercito degli Stati Uniti ha perso anche lo zio Josiah. Anche se non è stato lui ad ucciderli, si sente in colpa come se fosse, indirettamente, il responsabile della loro morte. La vera malattia di Tayo, quella che i bianchi diagnosticano come “pazzia”, è quella di sentire le risonanze di tutto ciò che accade intorno e dentro di lui, una sensibilità estrema per tutte le cose. Quando gli chiedono di che cosa soffra resta muto, non riesce a dare una spiegazione né agli altri né a sé stesso, perciò non può che continuare a soffrire in silenzio.

Un giorno Tayo incontra Betonie, l’uomo medicina, che gli svela l’importanza della cerimonia. Come in ogni Bildungsroman che si rispetti, il protagonista non comprende appieno il significato di ciò che gli viene spiegato, ma lo accetta, acconsente a sperimentarlo. Il vecchio Betonie lo mette a parte di una complessa teoria: il mondo è vittima di una potente magia nera. Uno stregone Ck’ o’yo per portare avanti il suo grandioso piano di distruzione ha incantato gli uomini, li ha portati a credere alla teoria – secondo l’autrice tipicamente cristiana – in accordo con la quale solo l’individuo può salvarsi dal male. La legge del latrocinio è la diretta conseguenza di questa filosofia, coadiuvata dalla morale dell’ingiustizia. Che lo stregone, secondo la leggenda raccontata da Betonie, sia un nativo, ha poca importanza. Il punto centrale è un altro: i bianchi, che si credono degli aguzzini, degli aiutanti dello stregone, sono stati a loro volta manipolati. Non sono altro che strumenti di un potere che sta ben al di sopra di loro e sono resi ancora più deboli dal fatto di non avere consapevolezza di ciò. Erano stati ingannati e “la menzogna stava distruggendo i bianchi più velocemente di quanto non lo stesse facendo con gli indiani. Ma gli effetti erano nascosti, evidenti solo nella sterilità della loro arte, […] in oggetti morti: la plastica e il neon, il cemento e l’acciaio”. Il vertiginoso aumento delle patologie legate allo stile di vita, all’alimentazione e a fattori psicologici e sociali di varia natura anche fra la popolazione yankee degli Stati Uniti dovrebbe spingerci a porci delle domande in questo senso.

La stregoneria – metafora per il colonialismo, che porta via la terra alle stesse persone che sono costrette a viverci accanto, assistendo al sopruso in ogni momento della giornata da dentro a quelli che Silko chiama non riserve bensì “recinti” – può però essere fermata. È per questo che Betonie intercetta Tayo: se lui metterà in pratica l’atto di purificazione salverà non solo sé stesso ma anche la propria gente. Nell’atto finale della cerimonia, una scena che sembra scritta per il cinema, il protagonista dovrà fare i conti con sé stesso, trovare una soluzione al dilemma che lo tiene sospeso tra la violenza autodistruttiva e l’indifferente distanza. Solo se farà la scelta giusta, la cerimonia verrà porta a compimento. E con la sua fine, cesserà anche la stregoneria. 

Ma le stregonerie, così come le cerimonie, ritornano. In forme diverse, ma ritornano. Anche su di noi, su questo tempo, incombe una pesante, opprimente, magia oscura. Tutti dicono che, dopotutto, stiamo bene così, che “dobbiamo andare avanti”. Ci sono degli olocausti in corso, ciononostante, da queste parti, continuiamo a masturbarci con questa fattura. Non credo esista stregoneria peggiore di questa.

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